«Pace!» è il dono di
Gesù risorto ai suoi – e a noi – mentre mostra i segni della sua passione, le
ferite ormai diventate canali di luce, fessure che lasciano passare i fiumi di
grazia e di gioia che sono e danno vita. In questa Pentecoste di fuoco in cui
forse saremmo tentati di cercare faville e terremoti, sconvolgimenti e
sussulti, scuotimenti e svolte, la realtà grandiosa che ci viene messa tra le
mani e depositata nel cuore è quella umile, discreta, calma e silenziosa della
pace. Eppure potente come nessuna forza umana potrebbe, di quella potenza di
vita creativa che soltanto l’amore sa effondere. Questa pace profonda è quella di cui fanno esperienza coloro che si
lasciano modellare dalle mani dell’artista divino. Prima fra tutti Maria che,
come ha ben detto von Balthasar, rappresenta il modello «di ciò che l'Ars Dei
può fare d'una argilla umana che non vi
si oppone». Poetica e potente espressione
che non lascia spazio a dubbi: sì, possiamo toccare con mano il farsi della
nostra storia con Dio solo se davvero siamo disposti a lasciare che la creta di
cui siamo fatti acquisti una nuova forma, la forma dei figli di Dio.
Passaggi di un cammino non
indolore, anzi decisamente sofferenziale. Che diventa fecondo nella misura in
cui non bariamo con noi stessi e riconosciamo che quelle asperità che feriscono
gli altri ma anzitutto noi, hanno bisogno di una buona limatura, lunga e
paziente. Inutile voler combattere battaglie di perfezionismi irreali e non
cristiani, finiremmo schiavi della rigidità e della tristezza. Meglio scendere nel campo variopinto e
stancante ma vivo e autentico delle nostre quotidiane lotte, per farci
artigiani di bene. A volte il più grande successo può essere l’essere
riusciti a far sorridere qualcuno che altrimenti avrebbe rotto l’armonia di una
famiglia o di un gruppo o di una comunità. Sano realismo che si apre al sorriso
e alla comprensione e sa che i musi lunghi sono figli dell’idealismo e che l’idealismo
non è né umano né sano. Meglio un piccolo accordo sudato e frutto di atti di
umiltà, che grandi accordi presi solo sulla carta e che alla fine non toccano
le relazioni né trasformano i cuori.
Fare pace con la nostra umanità è
la prima e necessaria opera dello Spirito Santo, Spirito d’amore ma anche di
sapienza, di profonda comprensione. Lui, il nostro dolcissimo Signore, si fa
sentire nel cuore del nostro cuore, lì dove fortunatamente nessuna cosa creata
ha accesso, e ci parla un linguaggio che possiamo imparare sempre più a
comprendere. Il linguaggio della fiducia anche in noi stessi. Il primo
insegnamento che traiamo dall’esempio di Maria è proprio la fiducia che lei ha
accordato a se stessa. «Mi fido di Te, Dio e mi fido anche di me, di quello che
passa nel mio cuore, di quello che sento più autentico e importante per me».
Certo ci sarà bisogno di potature,
di purificazioni, per far venire alla luce la perla nascosta, ma è altrettanto vero
che senza la fiducia accordata a quello che più fa ardere il nostro cuore e lo
accende di vita e di speranza non potremmo sopportare la fatica del viaggio.
Maria ci aiuta a fissare lo sguardo nel punto in cui il nostro cuore già abita
e così a camminare spediti come chi vuole collaborare a un disegno stupendo di
vita e non come chi vagabonda senza meta. Dispiegare sempre più se stessi sulle
ali dell’amore, diceva Massimiliano Kolbe, che nella sua vita ad ogni passo ha
ricordato a se stesso l’unica cosa necessaria: essere interiormente disponibili
ad assecondare lo Spirito Santo e le sue ispirazioni, voler dare più credito
alla sua voce che a quello che pensava lui. Nessun vaso riesce armonioso se l’argilla
di cui è fatto resiste ai tentativi creatori delle mani dell’artista.
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